CIBO ED EMOZIONI

Quando il cibo regola le emozioni, oltre la fame: il contributo psicologico alla nutrizione

Il rapporto tra alimentazione ed emozioni è un argomento complesso.
Tantissimi studi hanno approfondito e spiegato il legame tra il cibo e lo stato mentale degli individui.
L’istinto ad alimentarsi è legato ad un bisogno primario di sopravvivenza ed è attivato dallo stimolo della fame, la quale pertanto, è fondamentale per tutti gli esseri viventi.
Tuttavia, se ci riflettiamo, non mangiamo sempre per fame: il cibo è diventato nel corso degli anni un collante sociale, scandendo eventi, ricorrenze, momenti di ritrovo con gli altri e ciò è stato possibile perché ha un forte potere di condivisione ed unione.
Un aspetto interessante dell’alimentazione è la possibilità di influenzare ed in qualche modo regolare le emozioni, ma anche di essere influenzata dallo stato mentale delle persone.
Ciò che è ancora più rilevante è che questo stretto legame si definisce già nei primissimi anni di vita del bambino con conseguenze nell’età adulta.
Alla nascita, infatti, l’istinto ad alimentarsi può essere soddisfatto esclusivamente tramite l’adulto. Pertanto, tramite il pianto, il bambino comunica la necessità di nutrirsi, la quale viene soddisfatta dalle figure di riferimento. Solo con l’età il bambino impara ad alimentarsi da solo, sganciandosi dalla figura di riferimento e diventando autonomo, quindi, nel regolare la sua fame e le emozioni ad essa legate. Ecco che l’atto del cibarsi rappresenta non solo un nutrimento fisico, ma anche emotivo e relazionale, proprio perché nei primi mesi di vita è mediato dagli altri.




Tuttavia non è solo la sua funzione sociale a rendere il cibo un regolatore emotivo e comportamentale, ma anche alcune caratteristiche che vi si possono trovare, soprattutto in termini di consistenza e gusto. Alcune abitudini scorrette e frequentemente presenti, come ad esempio utilizzare cibi gustosi per convincere il bambino a fare qualcosa, lo portano ad essere premiato tramite la possibilità di ottenere un alimento gustoso, oppure punito, quando questo alimento gli viene sottratto o sostituito con uno meno gradito. Questa modo di vivere il cibo e l’alimentazione in generale (che di solito si osserva radicata anche nella famiglia di origine) insegna al bambino che: i cibi che gli piacciono sono gli stessi che lo fanno stare bene;
il cibo risolve i suoi problemi e quelli degli altri.
Pertanto il bambino attribuisce ai cibi ricchi di zuccheri (di solito più gustosi e desiderati dai bimbi) proprietà benefiche che in realtà non hanno, oltre al fatto che proprio perché così buoni attivano, se assunti in eccesso, i circuiti neurali della ricompensa e della gratificazione, per cui quanti più cibi dolci mangiamo tanto più ne abbiamo bisogno, con ovvie conseguenze sulla salute.
Inoltre, premiando o punendo un bambino utilizzando il cibo, corriamo il rischio di insegnargli che merita di mangiare solo se si comporta bene e soddisfa le aspettative degli altri, mentre impara a privarsi del cibo se si comporta male.
L’alimentazione smette così di essere un modo per nutrirsi e sfamarsi, diventa invece un regolatore di emozioni e comportamenti e questo può creare, in alcune persone e in associazione a più circostanze, terreno fertile per l’instaurarsi di disordini alimentari.
L’alimentazione consapevole:
Dato che la fame non è un bisogno emotivo, ma fisico, ciò che fa diventare il cibo una risorsa è la capacità di sceglierlo consapevolmente, non in base a ciò che in quel momento sentiamo possa appagare un bisogno emotivo.
Talvolta capita di confondere il bisogno fisico di sfamarsi con una necessità psicologica di gratificarsi e negli individui in cui questa consapevolezza manca, il cibo diventa il regolatore emotivo per eccellenza.
Ecco allora che il cibo può diventare sinonimo di affetto e attenzione, fino all’instaurarsi di una dipendenza con importanti compromissioni sulla salute psico-fisica; oppure può diventare un mezzo per controllare le proprie emozioni, predisponendo a condotte alimentari bulimiche e anoressiche.
Ecco allora che la consapevolezza, intesa come conoscenza di sé stessi, la capacità di autoregolarsi e la conoscenza delle proprietà nutritive dei cibi, diventa la chiave per una sana alimentazione, propedeutica all’inizio e al proseguimento di una dieta alimentare equilibrata.
La stretta correlazione tra psicologia e nutrizione rafforza la necessità di una presa in carico globale dei pazienti, in un’ottica multidisciplinare e collaborativa.
Il trattamento per i disordini/disturbi alimentari è basato sulla collaborazione di figure professionali specifiche (psicologo, endocrinologo, nutrizionista e figure adeguatamente formate sull’argomento) che seguano il paziente a trecentosessanta gradi.
Questo tipo di presa in carico è presente nel servizio pubblico, ma anche presso poliambulatori privati operanti sul territorio.
La migliore strategia per evitare situazioni di cronicità resta, però, la prevenzione.



Dott.ssa Elefante
(Psicologa)